DICK TOMASOVIC / Come addestrare un dinosauro? Quando l’animazione reinventa l’animalità

Matteo Fantozzi

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Il gatto Felix, il topo Topolino, il coniglio Bugs, la papera Daffy… Il cinema d’animazione è spesso animalesco; è del resto la generalizzazione abusiva di cui può soffrire, condannato a rappresentare solo animali faceti, lasciando al cinema in live action l’umanità seria.

Tuttavia, questi animali sono raramente animali. Il loro antropomorfismo li allontana dal regno animale pur mantenendoli in un avvicinamento, mai del tutto compiuto, con le rappresentazioni della dieta umana.

topolino e gli altri
Gli animali della Walt Disney (Youtube Mickey Mouse) LaFuriaUmana.it

Qui sono bloccati in una strana ibridità, dotati di corpi singolari e favolosi su cui si proiettano le immaginazioni emotive e si innestano le capacità intellettive degli esseri umani. Il meglio dei due mondi, forse, un potenziale infinito di meraviglia e divertimento per generazioni di spettatori, sicuramente. Da quel momento in poi non mancano le più grandi incongruenze: il topo Topolino porta a spasso il suo cane Plutone e Paperino serve un tacchino ai suoi nipoti per il Ringraziamento. Si sta costruendo un mondo a parte dove il regno animale deve ridefinire un ecosistema al di fuori della questione della predazione, affrontata però, indirettamente o frontalmente, in numerosi film, nelle produzioni Disney come in quelle dei suoi concorrenti – Gli Aristogatti (Wolfgang Reitherman , 1970) al Madagascar (Darnell e McGrath, 2005) passando per Il Re Leone (Roger Allers e Rob Minkoff, 1994) o Kung Fu Panda (Mark Osborne e John Steveson, 2008).

Le questioni, vertiginose di ambiguità, dello specismo (nel senso di una gerarchia tra le specie) diventeranno addirittura, narrativamente e figurativamente, il soggetto della parabola antirazzista e antisessista del film Zootopia (Byron Howard, Rich Moore e Jared Bush, 2016), un’utopia zoologica come indica il titolo. Nel cinema d’animazione, a seconda dei film e dei momenti, l’animale sembra così oscillare tra le condizioni più opposte, da un lato la creatura animale, proveniente da un mondo selvaggio e diverso, un’alterità marcata fino all’idea di ​​una differenza inconciliabile, e, dall’altro, la bestia umana, assimilata, totemizzata, antropomorfizzata, che rappresenta un’ambivalenza permanente e ancestrale tra natura e cultura.

Un’illusione di un’altra epoca

Eppure, cosa interessante, un animale sembra sperimentare un regime di rappresentazione in qualche modo distinto, almeno in parte, perché non sfugge completamente a questa concezione. Se ha sperimentato anche questo trattamento tipico, equivoco e ambiguo dell’animale animato (Il piccolo dinosauro e la valle delle meraviglie di Don Bluth nel 1988 o L’era glaciale di Chris Wedge nel 2002), il dinosauro si è lasciato trasportare anche da altre ispirazioni e altre finzioni che lo hanno portato in territori diversi da questa classica ideologia antropomorfistica. È vero che il dinosauro non è un animale come gli altri. Poco conosciuto, si tratta, nel linguaggio comune, sia di un animale che di una specie animale (un vertebrato di epoca secondaria, di dimensioni variabili, presentante due fosse temporali sul cranio e appartenente alla classe dei sauropsidi e all’ordine dei dinosauri ). Molto più dell’uccello o del pesce, soffre di un riconoscimento molto generico mentre i suoi appassionati sono ovviamente ansiosi di riconoscere ciascuna delle sue varietà (il tirannosauro, il brontosauro, il triceratopo, l’achelousauro, l’edmontonia, il lambeosaurus, il parasauropholus e diversi centinaia di altri, ognuno ha il suo preferito). Scomparso, entrò nell’ordine dei leggendari, volentieri soggetto alle più eccentriche interpretazioni fisiologiche e comportamentali.

Illusione del cinema
Illusione di un’altra epoca (Youtube) LaFuriaUmana.it

Mostruoso, per la sua mole e per la ferocia, perfino per la barbarie, che attribuiamo al periodo caotico della sua esistenza, ben prima della minima promessa dell’alba dell’umanità e di una possibile civiltà, è un motivo regolare degli immaginari di terrore e catastrofe. Così, per il suo gigantismo e la sua pericolosità, il dinosauro occupa un posto privilegiato nel bestiario del cinema fantastico. L’estinzione prematura di queste creature preistoriche, la fine apocalittica del loro regno sulla Terra e la loro iscrizione in una storia preumana lo hanno consacrato come un animale mitologico, spesso paragonato ai mostri immaginari che sono i draghi con cui condivide lo stesso immaginario . del rettile titanico e lo stesso sogno ctonio degli elementi (l’associazione con la terra, il mare, il ghiaccio, il fuoco). Da Il mondo perduto di Harry Hoyt (1925) – e i vari film che a lui devono le loro scene mozzafiato – al grande pioniere degli effetti speciali Willis O’Brien fino ai prodigiosi animatronici sviluppati da Stan Winston per Jurassic Park di Steven Spielberg (1993) e il suo numerosi seguiti con sovrapposizioni digitali sempre più ambiziose, il dinosauro è un puro motivo di attrazione, presentato come una creatura straordinaria, favolosa e fantastica.

La sorprendente sequenza di Fantasia dedicata alla comparsa e scomparsa degli animali preistorici, La sagra della primavera (Bill Roberts e Paul Satterfield, 1940), sulle musiche di Stravinskij che Walt Disney trasformò nella colonna sonora di una lezione di paleontologia, mette il realismo di rappresentazione e disegno al servizio di una spettacolare spettacolarità. L’azienda avrebbe riproposto questo tipo di sorprendente iperrealismo molto più tardi, questa volta in immagini generate al computer, con un film intitolato sobriamente Dinosaurs (Ralph Zondag e Éric Leighton, 2000). In questi esempi come in molti altri (le orribili e infernali creature dell’isola di King Kong di Peter Jackson per esempio, nel 2005), il dinosauro incarna l’animale selvatico nella sua più pura alterità. L’animazione è allora più un effetto speciale, di inganno e di inganno, di uno strumento tecnico al servizio dell’illusione cinematografica che di poetica fantasmagorica.

Le danze di Gertie

Tuttavia, il cinema d’animazione ha anche, molto regolarmente, mostrato e sperimentato un altro tipo di dinosauro, sognando un nuovo rapporto tra uomo e animale, addomesticando la creatura leggendaria per trasformarla in un animale familiare, o addirittura in compagnia. Pertanto, questo cinema d’animazione non solo presenta e muove un animale invisibile e ci offre una vicinanza senza precedenti con esso, ma lo fa immaginando una nuova storia possibile in cui l’effetto di meraviglia è provocato da un nuovo rapporto simbiotico e talvolta persino organico tra uomo e animale.

Pioniere americano del cinema d’animazione, Winsor McCay adattò il suo famoso personaggio dei fumetti Little Nemo in un cartone animato nel 1911. L’anno successivo, il suo cartone animato How a Mosquito Operates mostra le piroette di un’enorme zanzara affamata, che molesta un povero che cerca di addormentarsi. Ciascuno di questi film è celebrato per le sue qualità grafiche. Un disegno di grande qualità, come nei suoi piatti che gli avevano portato la notorietà. Nitidezza della linea, fluidità dei movimenti, sensazione di gravità, nozione di prospettiva, tempismo naturalistico. In poche parole, ciò che celebriamo in McCay è una certa idea di realismo. Ma questa capacità di rendere i disegni si rivoltò contro l’autore: alcuni spettatori sostenevano che il regista avesse modellato degli acrobati per Little Nemo e montato una finta zanzara su dei fili per le sequenze di How a Mosquito Operates. Tuttavia, Winsor McCay ammette di avere ambizioni ed esigenze artistiche fenomenali riguardo al suo lavoro e al destino della sua “invenzione”, il cartone animato. Ferito nelle sue pretese artistiche, l’autore, per non essere più vittima di questo tipo di calunnie e per mettere a tacere definitivamente queste malelingue, ha scelto di disegnare un animale scomparso. Un preludio al cartone animato, girato in live action, mostra McCay, mentre visita un museo di storia naturale con i suoi amici, scommettendo un pasto che riuscirà a riportare in vita il dinosauro attraverso una serie di disegni. Ovviamente un epilogo lo mostra al ristorante, pronto ad assaporare la vincita della sua scommessa. Gertie The Dinosaur (1914) era inizialmente uno spettacolo interattivo. Winsor McCay, presente sul palco, si gira verso lo schermo di proiezione e parla con Gertie, una diplodoco femmina molto amichevole poiché ubbidisce agli ordini del suo creatore e lo accetta sulla schiena per fare una passeggiata (McCay è scomparso dietro lo schermo all’inizio momento in cui è apparso il suo doppio pescato).

Oltre a questo espediente di rappresentazione estremamente malizioso (la genialità del film risiede proprio in questa ibridazione: proiezione e performance dal vivo, animazione e riprese dal vivo) e alla superba finezza e fluidità dei tratti animati, il cartone animato è notevole sotto molti aspetti. Innanzitutto perché McCay dota il suo dinosauro di un carattere forte (Gertie, piuttosto dispettosa, non esita, nonostante gli ordini del suo padrone, a fare quello che vuole e in particolare a sollevare per la pelle del collo un povero mammut e proiettarlo nella luce dello spazio anni dalla sua grotta). Ecco quindi questo animale, ritornato da una morte immemorabile, che si muove, interagisce con gli esseri umani e mostra un accenno di personalità. Poi perché questa creatura sembra davvero intrisa di vita. Quando Gertie dorme, possiamo vedere chiaramente il suo stomaco gonfiarsi e svuotarsi d’aria, McCay ha studiato il ritmo del suo respiro per trovare il giusto tempismo di questi movimenti. La stessa ricerca del naturalismo è stata al centro della ricerca di Willis O’Brien sugli effetti speciali e sull’animazione tridimensionale delle bambole: l’imbroglione utilizzava anche il respiro delle sue figurine di dinosauro per dar loro vita. È inserendo una camera d’aria per un pallone da rugby, che gonfiamo e sgonfiamo poco a poco, o integrando negli scheletri delle bambole di Lost World (1925) un meccanismo che espande o comprime l’involucro esterno in lattice del personaggio che l’animatore è riuscito a trasmettere la percezione di un ritmo respiratorio. Tuttavia, nel caso di McCay, un legame viscerale unisce il creatore e la creatura, e, più in generale, l’uomo e l’animale: condividono lo stesso ritmo biologico, lo stesso respiro. Alla fine, Gertie balla.

La campagna pubblicitaria era esplicitamente basata sul suo talento di ballerina di tango. Probabilmente è molto da dargli, perché si tratta principalmente di annuire con il collo, dondolare il corpo e sollevare le sue enormi gambe a tempo. Tuttavia questa danza inventa una nuova forma di prossimità e complicità tra l’uomo e la fantastica e gigantesca creatura animale. Spesso si conviene che animare è dare la vita. In questo caso, l’animazione di Winsor McCay gli dà vita. La creatura, fantasticata, viene, attraverso la magia della fantasmagoria e la metamorfosi di immagine per immagine, resa visibile e viva. Testimonia la sua presenza effettiva attraverso una tipologia di movimenti coreografici che evocano armonia, gioia, grazia e affetto. L’incontro assume una forza simbolica ancora più forte quando McCay, che le ha parlato e nutrito per tutto il film, finisce, nella sua forma disegnata, per avvicinarsi alla creatura ed entrare in contatto con essa con il suo assenso. L’uomo e l’animale, che non si erano mai incrociati nella storia del mondo, appaiono qui in simbiosi. Non c’è da meravigliarsi che questo atto di addestramento dei dinosauri sia diventato uno dei cartoni animati più famosi nella storia dei cartoni animati.

Fido, il fedele

Dopo questo cartone animato, il dinosauro diventerà molto spesso un possibile nuovo complice dell’uomo sullo schermo. Nel 1939, il giovane animatore Chuck Jones, recentemente promosso regista ai Warner Studios, firma Daffy Duck and the Dinosaur, una Merrie Melodies che immerge Daffy Duck, anche lui all’inizio della sua carriera, in un’era (pseudo) preistorica. Il papero, che Chuck Jones dirige per la prima volta, appare meno isterico che sotto le matite del suo creatore, Tex Avery, e più calcolatore e astuto. Viene braccato da un uomo delle caverne di nome Casper, le cui caratteristiche, in retrospettiva, preannunciano la successiva invenzione di Elmer Fudd (di Jones, nel 1940). Quest’uomo dell’età della pietra emerge dalla sua grotta ed evoca Fido, un allegro apatosauro annidato in un’altra piccola grotta adiacente. Il dinosauro si precipita verso il suo padrone e adotta tutti i comportamenti di un animale domestico e, più particolarmente, quelli di un cane (porta in bocca un grosso osso). I due amici partono alla ricerca della colazione, che ovviamente non riusciranno mai a prendere, nella persona di Daffy. Una vera solidarietà complice quella messa in scena da Jones, l’uomo e il dinosauro si completano perfettamente (Casper è scontroso e autoritario, Fido è allegro e svampito). Personaggio decisamente comico e simpatico, Fido, nonostante il suo mutismo, attira l’attenzione dello spettatore attraverso le sue espressioni facciali (dovete vederlo iniziare a ballare in modo grottesco quando è mezzo privo di sensi in seguito a un colpo alla testa), la sua goffaggine (fa nodi al collo senza rendersene conto) e la sua inestinguibile fedeltà a Casper, che lo condurrà a un destino tanto burlesco quanto disastroso a causa del suo desiderio di cacciare anatre (l’apatosauro, va ricordato, è erbivoro).

È senza dubbio possibile considerare questo rapporto come una forma di regressione dell’animale. Gilles Deleuze e Félix Guattari distinguono tre tipi di animali: quelli demoniaci (legati alla loro idea di branco e di sciamatura), i grandi animali di genere e di mito da cui estraiamo modelli e archetipi, e, infine, gli animali individuali , familiare e familiare, sentimentale ed edipico. Il dinosauro animato sembra aver attraversato le categorie per essere finalmente trattato come una piccola “bestia propria” la cui presenza familiare invita alla contemplazione narcisistica. Il dinosauro in questo film d’animazione non è semplicemente antropomorfizzato, ma viene prima rianimalizzato in una concezione di domesticità. Non mancano gli esempi di fantasticheria su un’improbabile compagnia tra uomo e dinosauro, sia al cinema che in televisione. La famosa serie The Flinstones, creata e prodotta da William Hanna e Joseph Barbera per la rete ABC nel 1960, immagina un mondo preistorico in cui esseri umani e dinosauri vivono in una comunità premurosa. Mammut, pterodattili, tigri dai denti a sciabola e altre creature estinte da tempo convivono con uomini delle caverne, fungendo sia da animali domestici (l’affabilissimo piccolo brontosauro Dino) che da incongrui strumenti che riproducono in modi insoliti le tecnologie del 20° secolo. Creato da Peter Keefe nel 1988 per Syndication e FR3, Denver, l’ultimo dinosauro, è un corythosaurus che, circondato dai suoi amici umani, si dedica al rock e allo skateboard. Utilizzando l’animazione delle marionette, il film Theodore Rex (Jonathan Betuel, 1995) immagina un ispettore di polizia umano (Whoopi Goldberg) che fa squadra con un tirannosauro come parte di un’indagine sull’omicidio di altri dinosauri. In Una notte al museo (Shawn Levy, 2006), la guardia, interpretata da Ben Stiller, gioca a lanciare il bastone per farsi riportare indietro da Rexou, il gigantesco scheletro del tirannosauro che si trova all’ingresso del Museo di Storia Naturale di New York e che prende vita dopo il tramonto. My Friend the Dinosaur (Matt Drummond, 2017) racconta la fantastica storia di un’amicizia segreta tra un giovane adolescente e un cucciolo di dinosauro che diventa sempre più difficile da nascondere man mano che cresce. Il noto schema ricorda altre storie di amicizia tra bambini e ingombranti creature fantastiche (Peter ed Elliott il Drago, nel 1977 di Don Chaffey e nel 2016 di David Lowery, How To Train Your Dragon di Dean Delois e Chis Sanders nel 2010).

Nuove epoche giurassiche

Reinventato dal cinema d’animazione, fatto vedere e sentire come mai prima d’ora, il dinosauro non è solo un motivo di attrazione o divertimento aggiuntivo dal grande catalogo di animali a cui l’industria dell’intrattenimento continua ad attingere. Appare anche come una prima occasione per l’umanità di incontrare un regno animale appena immaginabile (questa è l’emozione che attraversa la maggior parte dei personaggi che visitano Ilsa Nublar, l’isola al centro delle storie del franchise di Jurassic Park), ma anche una seconda possibilità per l’umanità di sognare un rapporto potenzialmente più egualitario tra uomo e animale, pensato come una forma di compagnia. Il viaggio di Arlo (Peter Sohn, 2015), film d’animazione Pixar rivolto ai giovani spettatori, suggerisce addirittura di invertire i soliti ruoli. Arlo, un apatosauro tanto gentile quanto temibile, dovrà domare e prendere sotto la sua ala protettrice un piccolo compagno inaspettato: un bambino selvaggio di nome Spot. L’animale domestico fedele e coraggioso del dinosauro qui non è altro che un essere umano.

Il recente revival del franchise “Jurassic” si distingue dalla prima trilogia di Spielberg per le nuove inclinazioni date alle sembianze dei dinosauri. Affidate ormai interamente agli artigiani dell’animazione digitale, le creature preistoriche sono molto più presenti sullo schermo, sia in termini di tempo che di numero. Se il principio di mostrare questi animali è ancora quello dello stupore spettacolare, e se la concezione attraente della creatura fantastica è ancora un po’ più confermata, la messa in scena sembra aver invertito il suo sistema di apparizione: non è più tanto il dinosauro che emerge tra gli umani come l’umano che si insinua tra i dinosauri e ordina nuove relazioni. In Jurassic World (Colin Trevorrow, 2015), l’eroe riesce ad addestrare parzialmente dei velociraptor, tra cui un certo Blue che a volte assume il ruolo di fratello d’armi nel franchise, mentre il T-Rex vola in aiuto dei protagonisti durante il scena finale. In Fallen Kingdom (Juan Antonio Garcià Bayona, 2018), i dinosauri vengono liberati e partono alla conquista di nuovi territori (li vediamo investire a Las Vegas e Parigi). L’umanità e i dinosauri dovranno convivere e accettare di condividere il loro regno. Infine, oggi, come per riprodurre ancora una volta l’invenzione del cartone animato di Winsor McCay e la vicinanza dell’affascinante creatura, numerosi esperimenti di realtà aumentata, i cui risultati abbondano su Internet, prendono come motivi i tirannosauri e molti altri oggetti creature preistoriche che vengono fatte vagare, sfilare o ballare per le strade o sui tavoli delle cucine. Grazie a questo nuovo inquietante dispositivo, la Terra si sta ripopolando con questi animali estinti e presto tutti potranno vivere con i dinosauri al proprio fianco. Allora il mondo potrà ricominciare.

Dick Tomasovic

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